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Corte d'Appello di Bologna > Lavoro straordinario
Data: 16/08/2005
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 438/05
Parti: Giuseppe G. / INPS/ Min. Economia e Finanze/ Regione Emilia Romagna/Comune di Parma
PRESTAZIONI STRAORDINARIE: CARATTERE DI ECCEZIONALITA’. AUTORIZZAZIONE – ACCETTAZIONE TACITA: EQUIVALENZA. VALORE PROBATORIO DEL REGISTRO CRONOLOGICO: SOLO CONTRO IL DATORE DI LAVORO


Una dipendente di una società operante nel servizio di ristorazione nell’ambito delle mense aziendali che lamentava di aver effettuato, presso la mensa di un’azienda metalmeccanica, almeno un’ora di lavoro straordinario al giorno per oltre quattro anni, conveniva in giudizio la società datrice di lavoro avanti al Pretore del lavoro di Bologna chiedendo la condanna al pagamento delle differenze retributive. La società si difendeva affermando che il conteggio delle spettanze era mensilmente eseguito sulla base delle indicazioni della lavoratrice la quale, ogni giorno al termine del lavoro, segnava di proprio pugno le ore di lavoro effettuate sul libro presenze e negando comunque di aver mai autorizzato l’effettuazione di lavoro straordinario o fornito, anche implicitamente, il suo consenso allo svolgimento di attività lavorativa oltre il normale orario di lavoro. Il Tribunale, nel frattempo succeduto all’Ufficio del Pretore, pur avendo accertato, con le prove testimoniali, l’effettuazione dello straordinario per l’entità di ore rivendicata, respingeva il ricorso della lavoratrice riconoscendo valore probatorio alle ore segnate sui prospetti del libro presenza compilati dalla stessa lavoratrice. Di contrario avviso si è mostrata la Corte d’Appello. Il collegio ha innanzi tutto attribuito rilevanza alla lettera della lavoratrice e di una sua collega che, tramite la FILCAMS-CGIL, avevano dichiarato che - non avendo l’azienda preso in considerazione la loro richiesta di supporto, motivata dal fatto che prestavano complessivamente due ore giornaliere di lavoro in più del loro orario senza essere retribuite - si sarebbero scrupolosamente attenute all’orario di servizio concordato. Di qui il loro trasferimento presso altra mensa. La Corte, anche sulla base della citata lettera, ha ritenuto provato che il legale rappresentante della società fosse stato più volte reso edotto dalle lavoratrici della esigenza di aumentare le ore di lavoro e che, ciononostante, pur sapendo che le dipendenti prestavano servizio di loro iniziativa oltre l’orario normale per completare il lavoro, aveva ritenuto di non autorizzare le ore di lavoro straordinarie. Interpretando le norme del CCNL che disciplinano la materia, ha conseguentemente considerato applicabile il principio, più volte enunciato dalla Corte di Cassazione, (v. Cass. n. 1015/85; n. 1967/76; n. 1819/74 ed altre) secondo cui il consenso del datore di lavoro alla prestazione del lavoro straordinario può ravvisarci in qualsiasi comportamento che implichi l’accettazione, anche tacita, del lavoro stesso. Avendo la società, per anni, mantenuto presso la mensa aziendale due sole dipendenti nonostante che le esigenze del servizio espletato richiedessero una costante e continua prestazione di lavoro straordinario, ha finito per violare il primo comma dell’art. 80 del contratto collettivo, secondo cui il lavoro straordinario ha carattere eccezionale e non può, quindi, essere utilizzato per fronteggiare le normali e prevedibili esigenze di lavoro. Ne consegue che “avendo la società appellata tratto profitto dal lavoro straordinario svolto (…) non può costituire ostacolo al pagamento delle ore straordinarie la mancata formale autorizzazione” da parte del datore di lavoro. La Corte ha poi preso in esame la previsione dell’art. 81 del CCNL che, dopo aver stabilito che le ore di straordinario vengano cronologicamente annotate in apposito registro, afferma che tale registro “servirà come documento di prova per stabilire se il lavoratore abbia effettuato o meno il lavoro straordinario”. A tale proposito i giudici dell’appello hanno evidenziato che la società si è limitata a produrre in giudizio solo i fogli presenza redatti dalla lavoratrice, e non già il registro cronologico. Una documentazione, quindi, sostanzialmente diversa da quella prevista dalla norma contrattuale, e quindi inutilizzabile ai fini probatori individuati dalla stessa. Inoltre la Corte d’Appello ha comunque ritenuto che la comune volontà dei contraenti collettivi non fosse diretta ad imporre, per il caso di regolare tenuta del registro, la forma scritta per la prova del lavoro straordinario ma, piuttosto, fosse volta ad introdurre un meccanismo per consentire al lavoratore e alle Organizzazioni sindacali territoriali di verificare se e come il lavoro straordinario è impiegato dal datore di lavoro e per evitare possibili contestazioni tra le parti. In tale prospettiva il riferimento contenuto nel secondo comma dell’art. 81 al registro come documento di prova “va inteso nel senso che detto registro essendo formato sulla base delle risultanze di scritture contabili obbligatorie, ciò costituisce prova, in tema di lavoro straordinario, contro il datore di lavoro così come previsto dall’art. 2709 cod. civ. (…) ma non preclude al lavoratore, per le ore non annotate, la dimostrazione, con qualsiasi altro mezzo di prova, della effettuazione del lavoro straordinario. Ciò premesso, fermo restando l’onere per il lavoratore di provare l’effettivo svolgimento della prestazione e la relativa consistenza (Cass. n. 4668/1993; n. 181/1992) nonché, per quanto riguarda la prestazione eccedente quella ordinaria, la misura relativa, quantomeno in termini sufficientemente concreti e realistici (Cass. n. 2241/1987) la Corte ha ritenuto provata nel caso in esame l’effettuazione di almeno un’ora di lavoro straordinaria al giorno, conseguentemente condannando la società al pagamento di quanto non corrisposto a tale titolo